Browsing Category

Mind

Featured Mind

Difetti dei bambini deboli e forti … e anche degli uomini

Marzo 10, 2019

Se si osservano attentamente alcuni bambini se ne possono trovare forti, lottatori , “arietini” che vincono gli ostacoli del mondo e se trovano altri deboli, passivi, che soccombono al mondo.

Questi bambini, se non trattati, sono i prototipi degli adulti che diventeranno.

Non é detto che i forti siano propriamente sani, spesso seguendo ciò che desiderano sconfinano in quello, che oggi viene definito propriamente, o no, “bullismo” – su cui non ci si intende soffermare ora.

Ció che interessa é dare un consiglio disinteressato, alle madri e a chi tratta questi “umani cosi’ poco felici”.

Il consiglio, da ascoltare attentamente, ha sicuramente più di cento anni, e lo ritroviamo nelle parole di una Donna fuori dall’ordinario:

“Quale consiglio possiamo dare alle madri? Di fornire ai loro bambini lavori e occupazioni interessanti, di non aiutarli senza necessità e di non interromperli quando essi hanno iniziato un lavoro intelligente. Dolcezza, severità, medicine non aiutano: i bimbi soffrono di fame mentale. Se uno ha fame di cibo, non lo chiamiamo stupido né lo picchiamo, né facciamo appello al sentimento: non servirebbe a nulla, egli ha bisogno di mangiare. Anche in questo caso, né durezza, né dolcezza risolveranno il problema. L’uomo é una creatura intellettuale, e ha bisogno di cibo mentale quasi più che di pane. A differenza degli animali, egli deve costruirsi il suo comportamento. Se il bambino viene avviato su una strada che gli permetterà di costruire la sua condotta e la sua vita, tutto andrà bene: spariranno i malesseri, spariranno gli incubi, la digestione diventerá normale e sparirá la ghiottoneria. Egli diventerà normale perché la sua psiche sarà normale. Questo non é un problema di educazione morale, ma di sviluppo del carattere. La mancanza di carattere, i difetti del carattere spariscono senza bisogno di prediche o di esempi da parte dell’adulto. Né minacce, né lusinghe saranno necessarie, ma solo condizioni normali di vita.”

Maria  Montessori

Solo cosí avremo uomini piú coraggiosi, donne più rispettate e una societá meno frustrata e meno invidiosa.

D.S.

Featured Lifestyle Mind

ESSERE selvaggiamente VIVI

Dicembre 19, 2018

… Non ci sono piú i giusti,

la terra è abbandonata ai malfattori.

A chi parleró oggi?

Al male che colpisce la terra non c’è fine …

 

Sembrano parole di catastrofe.

Queste sono parole o meglio parole che derivano da geroglifici scritti da un poeta africano nel 2000 a.C. circa e che si interroga su valori di giustizia, ricchezza e di bene.

Parla di uomini che schiacciano altri uomini.

Piú tardi, nel 500 a.C. circa, un poeta del popolo ebraico:

Guai a quelli che promulgano decreti

Ingiusti e maligni

E nel redigerli mettono per iscritto

Le leggi dell’oppressione:

per privare i deboli della giustizia

e derubare del diritto i poveri.

 

L’oppressione puó rendere stolto un sapiente.

Tempo prezioso, prezioso tempo. Quanto la digitalizzazione ci sta facendo non vivere? Quanto il nostro tempo è dedito al monitor? Perché non possiamo di nuovo essere vivi? Stare nell’essere.

Continuare a scorrere velocemente miliardi di concetti rapidi meno di un secondo ci porta ad avere alla fine una mente, ma soprattutto uno spirito completamente vuoto, ad essere svuotati delle nostre emozioni.

Sono stati fatti studi approfonditi su questo. La perdita di empatia per via dell’aumentare dei social.

“L’analfabetismo delle emozioni è inseparabile dall’analfabetismo dei pensieri, e ogni analfabetismo passa attraverso l’incapacitá di leggere le parole che cercano di dire il mondo e noi nel mondo: vivere immersi come ipnotizzati nella nube social-narcisa, dove la capacitá di lettura di se stessi e del mondo si degrada, evita le situazioni in cui il narcisismo viene sanamente messo in crisi, e genera difficoltá  a gestire i sentimenti e le passioni con i loro complessi passaggi intermedi. Cosí l’amore, proprio quando la sua ombra spettacolare prospera nella caverna della chiacchierata totalitaria, va incontro al naufragio: perché ogni amore è basato sulla corrispondenza tra due esseri diversi che, nel loro incontrarsi, devono affrontare allo stesso tempo fusione e distruzione, unione e separazione, felicitá e tristezza, per arrendersi alla veritá che non nella ricchezza dell’abbondanza, ma nella povertá del bisogno vive il bimbo divino.”

Un testo, vademecum, molto molto illuminante che ci ricorda “che solo il lettore selvaggio, disposto a lasciarsi cambiare dai libri che incontra, è pronto a nascere e ad amare di nuovo lasciando andare la prigionia del digitale per poter guadagnare in tutta la propria vita se stesso”.

Un vivido inno al lettore, a colui che legge e che non si prende in giro, con finte mancanze di tempo.

La scuola della buona noia vuole produrre analfabeti funzionali che credono in un pensiero unico, in una sola realtá: contro i nemici dell’emozione e dell’intelligenza i lettori selvaggi pensano molte realtá diverse , e leggono poesia, scienza, arte, diritto, sogno. Nessun nemico è onnipotente se smettiamo di essere suoi complici.”

“Allora presto, beviamo e mangiamo con tutti i sensi la bellezza e la veritá che ci sono in Platone, Mozart, Leopardi, Van Gogh, Einstein, Bob Dylan, o saremo grassi di bugie come oche da sgozzare nelle cucine del futuro: i lettori selvaggi sanno che nessuno si salva da solo, che il tempo per salvarsi non c’è mai stato, che il tempo per salvarsi è ora.”

Perché leggere un libro in metropolitana quando tutti hanno la faccia sbattuta sullo schermo? Perché pensare è faticoso, meglio guardare un qualcosa che scorre veloce e che mi fa uscire da me stesso. Oppure meglio chattare. L’autore, con tutto il consenso, si domanda dove siamo arrivati, a che malattia siamo.

“Il tempo che serve non è il tempo dell’orologio, ma il tempo in cui sento che nei libri si parla proprio di me. Non quel me stesso fissato nelle sue sciocchezze, quell’essere abitudinario che conosco troppo bene senza capirlo per niente, no, non lui, ma il me stesso che ignoro ancora, che a volte mi appare in sogno e che in certe sere scopro leggendo.”

Per scampare alla noia abbiamo bisogno dell’amore.

Amare vuol dire entrare ed uscire da una realtá completamente diversa dalla nostra, senza sapere l’arrivo, la meta, come in una esplorazione. Lo stesso è per la lettura.

Non puo’ essere né troppo veloce, perché leverebbe il desiderio e non lascerebbe la corrispondenza tra noi e l’altro, né troppo lento perché ci porterebbe a perdere le speranze.

 Il lettore leggendo lascia un po’ di se stesso per far spazio al protagonista.

Solo questa storia basterebbe a capire quando è e deve essere importante per noi staccarci dalle macchine e tenere con loro unicamente un sano rapporto:

“… E  Socrate comincia a raccontare la storia di un teknikotate, un esperto di tecniche, inventore del calcolo e della geometria e abile nel costruire strumenti per potenziare l’intelligenza. Il tecnoscienziato antico si chiama Theuth, e spiega al re Thamus di aver inventato un “farmaco” per la conoscenza e la memoria: <<Questa conoscenza renderá gli egiziani piú capaci di conoscere e piú capaci di ricordare, perché è stata inventata come farmaco per la conoscenza e la memoria>> dice Theuth, al che Thamus replica: <<O Theuth, supremo esperto in tecnologie, una cosa è la capacitá di pensare e concretizzare una tecnica, un’altra cosa è giudicare il danno e il vantaggio  che quella tecnica potrá portare a chi ne fará uso. Ora tu, che ne sei l’inventore, hai detto, per attaccamento alla tua invenzione, il contrario di ció che quella tecnica del conoscere e del ricordare è in grado di fare. In realtá quella tecnica produrrá dimenticanza nelle menti di quanti la impareranno, perché costoro non eserciteranno piú la memoria …>>.”

Stiamo dando potere alle cose per toglierlo ai nostri cervelli. Leggere il profondo dei libri, delle anime, delle menti, delle persone, dei paesaggi, del cosmo e si anche delle cose, sará la unica salvezza.

Tratto dal libro di Giuseppe Montesano “Come diventare vivi”

D.S.

 

 

Mind

La trasposizione di momenti di vita dal cane all’umano

Novembre 6, 2018
Ancora una volta il fedele e ​unico amico di vita a 4 zampe ha trasmesso, con la sola imposizione della telepatia canina, un messaggio di un valore inestimabile.
Così come io (cane) sono così fermo nell’attesa di te (umano) che arrivi a donarmi il tuo amore, quando ne sei pieno e puoi farlo, come mai tu umano non sei in grado di aspettare che un altro umano possa donarti il suo amore solo ed esclusivamente quando ne è in grado?
In questa similitudine tra quadrupede-umano ed umano-umano, sembra che il cane sia più maturo e consapevole di un bipede qualsiasi. Come é mai possibile che il cane sia in grado di capire che il suo “amico” ha anche bisogni propri e necessita di spazio e tempo, mentre di noi esseri pensanti spesso non riusciamo ad elaborare questo semplice concetto?
Spesso ciò accade in famiglia, quando una madre non é in grado di lasciare al proprio figlio il semplice e prezioso tempo per pensare, annoiarsi, stare con se stesso…
Se il cane diventa me ed io divento l’altro, principio base dell’empatia, posso perfettamente comprendere il perché delle azioni dell’altro e dunque, messaggio importantissimo, non prendere più nulla sul personale. 
Se io, in un certo momento e per pensieri personali, che prescindono dal piccolo Fido, non sono in grado di donargli amore, è perché dentro di me ci sono dei blocchi emotivi derivanti dalla fretta, ansia, depressione, ma soprattutto vuoto di amore per me stesso, che mi impediscono di donare il mio amore a lui o a chiunque altro.
E lui, lui cane, a differenza di quasi tutti gli umani, questo lo capisce perfettamente, perché sta li, impavido, fermo, sicuro di sé e paziente in attesa che io torni in me e possa donare a lui la parte di me che nel frattempo ho ritrovato.
E come fa lui a fare questo? Attendendo e nutrendo se stesso di quello che in realtà vorrebbe da me, senza insistenza o fare pressioni inutili, che farebbero solo passare ancora di più la voglia di fare ciò che chiede all’altro. Lui questo concetto ce l’ha impresso in se’.
Ciò è estremamente importante in quanto noi uomini spesso, troppo bisognosi di amore dall’esterno, ci aspettiamo che sia altro o un altro a donarci ciò di cui abbiamo bisogno.
Nel frattempo io, assumendo il ruolo dell’altro imparo cosa egli prova nel mentre sono impegnato ad aspettarmi qualcosa da lui. Sia che si tratti di amicizia, amore, lavoro o altro, se non c’é è semplicemente impegnato con se stesso.
Certo, ci sono persone che sono e resteranno impegnate con loro stesse tutta la vita, ma, nel mentre, se ci si comporta come il nostro fedele amico, ci si è già dati ciò di cui si ha bisogno e da li niente è più pretesa, ma solo atto di amore.
D.S.
Lifestyle Mind

I benefici del saper cambiare

Luglio 7, 2018

“Fanatico è colui che non può cambiare idea e non intende cambiare argomento”

(Winston Churchill).

“Il saggio dubita spesso e cambia idea. Lo stupido è ostinato, non ha dubbi, conosce tutto fuorché la sua ignoranza”

(Akhenaton).

“Non meno che saper, dubbiar m’aggrada”

(Dante Alighieri).

“Queste sono solo alcune frasi di uomini illustri in vari campi dello scibile, ma di esempi se ne potrebbero fare tanti altri. Uomini come Mandela, che dall’azione violenta e bellicosa sono evoluti nella non violenza e persino nel perdono, insegnano che cambiare idea non solo fa parte di un processo evolutivo psicofisico necessario e quasi naturale, ma che la convivenza e il vivere in società si basano su proprio questa capacità/virtù.  Si potrebbe dire che in un certo senso la coerenza, se usata come unico valore di riferimento, presuppone una condizione di morte. Lasciare passare, entrare, accogliere nuove idee consente di crescere, evolvere acquisire sapere, comprendere concetti e fenomeni, capire, in una parola: vivere. Colui che fa della coerenza il suo baluardo non vive, sta fermo, non si muove in nessuna direzione, è morto.”

 

Noi stessi siamo il Divenire, noi stessi, in quanto esseri umani del pianeta, mutiamo. Quando nasciamo non ricordiamo ció che siamo stati;  alcuni bambini ricordano di loro vite precedenti. Ho sentito bambini raccontare dettagli, oltremodo precisi e chiari in cui loro stessi si trovavano in momenti e luoghi a noi ignoti ora. Dettagli difficilmente definibili semplice fantasia infantile, perché troppo precisi e puntuali nella descrizione. Quei bambini oggi, sono sempre loro stessi, ma con una veste nuova, mutata e differenti, nelle loro diverse vite.

Lo stesso Eraclito ha concepito l’uomo come divenire, inteso come mutamentomovimento, scorrere senza fine della realtà, perenne nascere e morire delle cose, uno dei concetti filosofici più importanti.

Il termine divenire [dal latino devĕnire composto di de (prep. che indica moto dall’alto) e venire (venire) quindi propriamente “venir giù”] in filosofia implica un cambiamento non solo nello spazio, come nel significato originario, ma anche nel tempo.

Per cambiamento si intende avvicendamento, rinnovo, sostituzione.
Col cambio si assume aspetto o natura diversa.
A volte il cambiamento è necessario o inevitabile, in meglio o in peggio, desiderato o temuto.
Un cambiamento rappresenta sempre qualcosa che costringe a fare i conti con se stessi, sconvolge, fa mettere in gioco, fa rivalutare se stessi e gli altri e spesso spiega e fa comprendere il senso della propria vita.

Il lasciare accadere, il lasciare andare, il lasciare che le cose abbiano il loro corso, cosí come il fiume, la cui acqua in quel preciso istante e preciso luogo non è piú la stessa mai nello scorrere nel tempo, è la chiave della salvezza dell’uomo. Se l’uomo cercasse di fermare quell’acqua del fiume sarebbe un uomo morto. Debole e morto. Invece l’uomo che accetta lo scorrimento del fiume e il suo cambiare, non può che trarne benefici.

Per questo decidere di cambiare il proprio punto di vista e parlare agli altri è il primo passo verso il benessere, la libertá e il raggiungimento del principio fondamentale del “chissenefrega cosa si pensa di me”, io vivo, perché cambio, mi adatto al mutamento e non sono statico come nessun corpo organico di questo mondo, esso stesso in mutamento.

 

D.S.

http://ilfangoquotidiano.altervista.org/travaglio-solo-gli-stolti-non-cambiano-mai-idea/

Lucio Dalla, la storia di Cambio e anche un po’ della mia vita

Featured Mind Spiritual

Il rischio dell’amor perduto

Febbraio 19, 2018
Quest’ultimo periodo conosce pesanti dinamiche di incapacità di manifestazione affettiva, che sfociano in ansia, problemi sessuali, relazionali ….
I più divengono dei pezzi di ghiaccio che urgono uno sblocco dei flussi energetici e, spesso, i più fragili si danno a evasioni estreme quali droghe, sesso estremo con soggetti “estremi”, violenze domestiche e non…
Questa necessità di perfezione, propria del periodo attuale, derivante dal non riuscire ad ammettere a se stessi il fallimento, fisico, morale, sessuale e, soprattutto, di carriera, non fa altro che rendere infelici, chi di motivi di infelicità propriamente non ne ha.
La capacità di accettazione dell’insuccesso, quale base prodromica al successo e l’importanza del saper non aspettarsi nulla di più di quello che ognuno può darsi e dare può essere la salvezza. Il così detto “detto” napoletano “futtitinne”… Quanto è liberatoria questa espressione?
Tutto parte dalla paura dell’errore, dell’insuccesso e dunque dalla sofferenza. Dalla paura che l’altro o le cose possano cambiare e dunque non essere più perfette come dovrebbero essere allo stato attuale e che, in ogni caso non sono. Da ciò emerge il blocco, che consiste nel fortissimo programma inconscio “il non rischio mi salva”. Non rischiare, come dicono in molti equivale a non vivere. Il ghiacciolo vivente.
Il non far nulla porta al non rischio e dunque al non amore. Se non si fa nulla, non si rischia, non si muore (forse) e non si soffre.
Ecco però cosa accade se non si ama, vive, rischia.
D’Avenia, nel suo ultimo libro, raccolta di storie di Amore, di personaggi illustri del passato parla, tra le altre avventure, di Orfeo  del Suo famoso mito.
PolizianoFabula di Orfeo, 237.: “Io te la rendo, ma con queste leggi: / che lei ti segua per la ceca via / ma che tu mai la sua faccia non veggi / finché tra i vivi pervenuta sia!
Rilievo con Orfeo, Euridice ed Hermes, copia di età augustea di un originale greco del V secolo a.C.di scuola fidiaca, marmo (Napoli, Museo Archeologico Nazionale)
Amando Euridice, Orfeo ha fatto esperienza della morte e ha rischiato. Ricorda, infatti, che per amare veramente bisogna entrare in un territorio che potrebbe essere l’origine della felicità, senza tuttavia averne il dominio.
Secondo Jung, inoltre, si vive di ciò che si dona. «L’amore è un concetto estensibile che va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito.»
Lasciando il flusso dell’Amore scorrere, se ne viene di nuovo “colpiti”. E’ il fluire la salvezza. Il fiume scorre senza paura di dove andrà e per questo crea un enorme flusso di energia, purificatorio e libero.
Il rischio dell’amore è vita e la fortuna di ogni umano è saper smettere di controllare la vita, accettare la paura di essere mortali e cominciare a essere realmente viventi. Solo in tal modo possiamo smettere di essere ghiaccioli, in attesa di essere “disibernati”.
Questa patologica necessità di essere autosufficienti per paura di venire scalpiti nel proprio intimo non fa altro che creare ibernazioni mentali, spirituali e fisiche e distacco dal fluire del fiume e dalla energia creativa.
Inizialmente l’amare offre una sensazione inebriante di immortalità, chi ama non ha più paura di nulla,  si sente fortissimo e potente.
L’atto di costruzione dell’amore richiede poi necessariamente il ricordo della propria mortalità, in modo tale da riuscire ad aderire alla propria ombra, raggiungendo, così uno stato di giovinezza perenne. Questa è l’arte dell’amore.
Per amare è fondamentale lo stato di esseri mortali, se non si è mortali non si è in grado di amare. Gli dei non possono saperne nulla … Il Cupido che trafigge il cuore ci rende dei perfetti mortali innamorati. Con la freccia di Cupido nel cuore, non siamo più intonsi e protetti, abbiamo una apertura, non siamo più autosufficienti ed entriamo nel rischio della vita.
Ma allora gli dei antichi come possono saperne dell’amore essendo immortali?
Eppure:
«Quando la psicologia archetipica parla di amore, essa procede in modo mitico perché è obbligata a ricordare che anche l’amore è non umano. Il suo potere cosmogonico, al quale partecipano anche gli esseri umani, è personificato da Dei e Dee dell’amore.
Quando le cosmogonie situano l’amore al principio, essi si riferiscono a Eros, a un daimon o a un Dio, e non semplicemente a un sentimento umano. Il potere cosmogonico dell’amore di strutturare un mondo attira in esso gli esseri umani in conformità con i vari stili di Dei dell’amore.
Vi sono, inoltre, stili di amore che si manifestano in divinità apparentemente estranee all’amore:
– Atena ama Ulisse coi suoi consigli,con la sua protezione e il suo aiuto a riunirsi con Penelope;
– Ermes ama Priamo col suo intervento nel furtivo accordo notturno per riottenere il corpo del figlio ucciso.
Ciascun Dio ama a suo modo: quando Zeus dà il suo amore a una donna mortale avviene uno splendido disastro con un risultato eccezionale, a sua volta ben diverso dai disastrosi effetti degli inseguimenti di Apollo.
L’amore di Arianna può abbracciare sia il duro guerriero Teseo sia Dioniso molle di vino. Ciò di cui abbiamo bisogno è una psicologia archetipica dell’amore, un esame dell’amore alla luce del mito.» (James Hillman – Re-Visione della psicologia – Adelphi, pp.311-312).
Qual è dunque il legame vero che libera e permette di rischiare?  Gli amori che levano la libertà creano dipendenza ed ogni genere di dipendenza è distruttiva. I legami veri liberano, un amore che può essere visto come la corda che permette di scalare la parete. Solo accettando l’altro come oltre, come avventura rischiosa e differente da sé. L’amore è possibile solo se si guarda oltre il già noto.
« […] E’ piuttosto l’incapacità di amare che priva l’uomo delle sue possibilità. Questo mondo è vuoto solo per colui che non sa dirigere la sua libido sulle cose e sugli uomini, e conferir loro a suo talento vita e bellezza. Ciò che dunque ci costringe a creare, traendolo da noi stessi, un surrogato, non è una carenza esterna di oggetti, ma la nostra incapacità di abbracciare con amore una cosa che stia al di fuori di noi.
[…] Mai difficoltà concrete potranno costringere la libido a regredire durevolmente a un punto tale da provocare l’insorgere di una nevrosi. Manca qui il conflitto che è il presupposto di ogni nevrosi.
Solo una resistenza, che contrapponga il suo non volere al volere, è in grado di produrre quella regressione che può essere il punto di partenza di un disturbo psicogeno. La resistenza contro l’amore genera l’incapacità all’amore, oppure tal incapacità può operare come resistenza
(C.G. Jung – Simboli della Trasformazione, p.175)
Trasgredire è la parola dell’amore. Oggi, invece, non essendo più capaci di amare, nel senso di dare, accogliere e ricevere, si trasgredisce in modalità dannose per sé e per il prossimo e, proprio perché il bisogno è innato, non se ne può fare a meno della trasgressione. Tuttavia, non canalizzando in modo corretto, si trasgredisce con “porcherie” becere ed ignoranti. Ignoranti perché ignorano l’amore e danneggiano gli umani.
Tornando ad Ovidio, dunque, la stessa paura di Orfeo che ha nell’andare nell’aldilà, ma che poi supera, impedisce di conoscere l’amore “trasgressivo”. In latino:- egredi = andare; trans- = oltre. Se si accetta la paura la si affronta, lì si trova la gioia, il proprio amore. Orfeo la vince e scende negli inferi, ove trova Euridice. Dunque accettare il taglio, che ci separa dall’altro, uscendo dalle proprie certezze, dalla propria autosufficienza e dal proprio egoismo.
Oggi, forse, per soccombere questa incapacità, si va solo “oltre” … Oltre con ogni genere di eccesso al fine ultimo di provare un surrogato del piacere dell’amore: droghe, foto estetiche in rete, consenso sociale derivante da post insignificanti e da c.d. “like” fuori luogo, sesso trasgressivo, dipendenza da alcool, muscoli pompati, gioco d’azzardo, cibo …
Si vive un amore ridotto ad una serie di piaceri effimeri, che fanno regredire alla propria pienezza infantile di bimbo immortale. “L’altro non diventa mai veramente un altro, un alieno, direbbe il latino (colui che viene fuori), ma rimane una proiezione di me, utile al piacere, che si illude di essere trasgressivo, ma che di trasgressivo non ha nulla, tanto che alla lunga annoia.” (D’Avenia)
Tutto per non vivere il semplice e onesto sentimento d’amore.
La vera trasgressione dell’amore, grazie alla semplice e basilare conoscenza della morte può sciogliere il ghiacciolo, che il tempo e le esperienze hanno formato.
Se si impara che il tempo che passa lo si può affrontare in due nella consapevolezza unica e totale per cui non si può avere conoscenza di se stessi, se non attraverso la relazione con l’altro si scopre che amare non è il controllo dell’amato e tanto meno di se stessi, ma una danza a due per la conoscenza di sé, grazie a quell’altro da sé, che altro non è che lo specchio di sé.
“L’amore serve a far la morte amica. Un villaggio giapponese conserva un’antica consuetudine: prima di sposarsi o di avere un figlio, ogni donna deve prestare i riti finali  a un corpo morto, prepararlo per la sepoltura. Non si può amare un uomo, non si può dare vita a un figlio, se non si sa cosa siano la gravità e il silenzio della morte. In quel momento la donna diventa consapevole di ciò che sta per affrontare e impara che il suo dare la vita è forte come la morte. Non è un caso che noi uomini siamo attratti dalla pancia scoperta di una donna: mentre quella di un uomo ci ricorda solo il cibo, quella di una donna ci fa sentire la presenza di uno spazio vitale, dell’antidoto alla morte. La pancia di un uomo è una pancia, la pancia di una donna è un grembo, dove la vita può essere tessuta, dove l’amore si fa storia.” (D’Avenia)
D.S.
Fonti:
  • Ogni storia è una storia d’amore, Alessandro D’Avenia

L’Amore secondo il grande psicologo C.G. Jung: si vive di ciò che si dona

Featured Mind

Dalla posizione fetale a quella erecta

Gennaio 22, 2018

Il meglio filosofo dei nostri tempi consiglia di rifarsi il letto, quale metafora del divenire adulti. Ci sono, infanti umani ed abnormi, che ancora non sono in grado di badare a loro stessi eppure si atteggiano a maestri e principi del mondo, proprio laddove la loro minuscola autostima è celata da una aggressività verbale e aimé spesso fisica. Quegli onnipotenti ignari del necessario e obbligato passaggio dalla comoda e indisturbata onnipotenza infantile alla nuova e ruvida consapevolezza. Inconsci volontariamente, ma pur sempre incatenati dalla loro stessa essenza del fatto che non tutto è subito e che gli altri non sono utensili per la propria felicità, ma soprattutto che la vita è la materia prima più dura, ma proprio per questo necessaria. La vita non è latte materno sempre disponibile e in abbondanza, bensì è “marmo da scalpellare michelangiolescamente giorno dopo giorno, perché ne venga fuori il progetto che vi è inscritto e che vi abbiamo intravisto“.

Dunque la necessità primaria da sviluppare al fine di vivere la vita e uscire senza traumi dalla dolce vita fetale infantile è imparare l’ormai noto a parole «mestiere di vivere» raggiungibile, forse, grazie al tempo che rende il frutto dell’animo umano maturo. Ma cosa e soprattutto quando si può dire di essere finalmente maturi? La risposta più banale può essere semplicemente il principio massimo e unico dell’accettazione: “maturo è chi riesce a mettersi d’accordo con la vita smettendola di aspettarsi qualcosa da lei, ma accetta coraggiosamente sia lei ad aspettarsi qualcosa da lui, in un sempre più armonico dialogo tra la naturale sete di felicità e gli altrettanto naturali limiti umani con cui ci si scontra nella bellezza incompiuta del cosmo.”

Dunque, solo se si ha coraggio di abbandonare la posizione fetale e di aprirsi al mondo in modo esplorativo e generoso, allora e solo allora, si potrà conoscere la felicità. Anche e soprattutto a costo di conoscere, oltre alle gioie, le ferite che inevitabili attraversano il cammino del guerriero.

Ma, anche quando finalmente si crede di essere diventati degli immancabili verticali ci saranno momenti in cui sarà estremamente necessario tornare ad avere la forza di riprendere la posizione erecta. Per migliorare le cose, le si deve amare e quale migliore metodo per raggiungere questo stato di amore se non analizzare la bellezza e la bruttezza delle cose per poi poterle amare nella migliore e candida purezza? Spesso, il “poeta” ci ricorda, la bruttezza è semplicemente “temporanea incompiutezza“.

L’amore lo si trova negli occhi delle persone. Avete mai provato a fissare l’altro per qualche minuto senza dire nulla? Solo tentando si potrà conoscere la profondità dell’anima che scorre liquida sino alle cavità del cranio riempita da due sfere gelatinose che ci permettono di percepire colori, forme e sfumature di questo cosmo. Solo guardando negli occhi bambini e adulti-bambini si riconosce la loro essenza e la si rimanda a loro permettendo di fargli raggiungere la posizione erecta. “Solo così bambini e bambine si compiono in uomini e donne capaci di stare al mondo con la schiena dritta e lo sguardo aperto all’orizzonte, senza paura di averne paura, senza deliri di onnipotenza risarciti da dipendenze regressive, stordenti o addirittura distruttive, ma con gli umanissimi sorrisi o lacrime di chi è, come diceva Hannah Arendt di ogni nascita, qualcosa di nuovo da introdurre nell’anonimato della moltitudine e nel già visto della storia — e sa di esserlo.”

Nelle Metamorfosi, Ovidio, come insegna D’Avenia nel libro “Ogni storia è una storia d’amore”, parla di effervescere, inteso come scintillio delle stelle nel cielo non appena Dio le pose nel cielo. E questo effervescere  sta piano piano sbiadendo, il cielo che oggi vediamo non è più visto come accadeva dagli antichi. L’uomo ha il volto perché è ri-volto verso il firmamento o orizzonte, vincendo quel sentimento di vergogna del vivere, altrimenti definito paura. Tutto dipende dallo sguardo e da ciò che lo attrae e noi diventiamo ciò che guardiamo. Oggi dove? Verso il basso (telefonini) scordando di intercettare in orizzontale il volto altrui e in verticale la volta celeste. Chi non guarda i volti e la volta rimane in una condizione pre-umana, perché unicamente “nel volto dell’altro si scopre la propria essenza umana, solo nella volta del cielo si scopre la propria essenza divina. Senza uno dei due sguardi l’uomo zoppica, senza entrambi è paralitico.”

Fonte: Donnasapiens

Testi: http://www.corriere.it/cultura/18_gennaio_21/1-ogni-benedetto-lunedi-alessandro-d-avenia-letti-da-rifare-rubrica-120974a2-febd-11e7-8f20-c3835ef8a905.shtml

“Ogni storia è una storia d’amore”, Alessandro D’Avenia

 

 

 

Lifestyle Mind

Zygmunt Bauman, Amore liquido

Dicembre 2, 2017

Quattro lezioni dedicate ad Amore liquidoLiquid Love. On the Frailty of Human Bonds, Cambridge-Oxford, 2003, trad. it., Bari-Roma, Laterza, 2003.

 Che cos’è l’amore liquido

L’eroe di questo libro, dice Bauman nella Prefazione, è «l’uomo senza legami». Così come il celebre personaggio di Musil (l’Ulrich de L’uomo senza qualità) era un soggetto alla ricerca di una identità, senza che nessuna delle qualità acquisite avesse garanzia di durata in un mondo sconcertante e mutevole, il protagonista del saggio di Bauman è l’uomo della modernità liquida, cioè di quella fase dell’età contemporanea che si caratterizza per lo stato mutevole e instabile di ogni sua forma organizzativa (famiglia instabile, ricomposta, multipla, informale; denatalità – lavoro precario, a chiamata, intermittente; ecc.).

Ulrich, l’uomo moderno, è un individuo che può cambiare più identità, senza essere mai davvero “qualcuno”

l’uomo contemporaneo è invece l’uomo senza legami

Secondo Bauman, dunque, se l’uomo senza qualità è il perfetto ritratto dell’uomo moderno, l’uomo senza legami è l’individuo plasmato dalla «modernità liquida», termine con cui l’autore indica quel periodo che dagli anni ’60 in poi è stato indicato da altri studiosi come postmodernità, tarda modernità, capitalismo maturo, modernità riflessiva ecc. [questo dibattito, che qui non affrontiamo, concorda sul riconoscimento di forti cambiamenti sociali ed economici intervenuti a ridosso del secondo dopoguerra, ma si divide sulla prognosi di tale cambiamento e in particolare sull’interpretazione delle trasformazioni nel segno della continuità con il moderno (ipermodernità, tarda modernità) o della rottura con esso, con i suoi fini e ideali (postmodernità)].

Il tema principale della riflessione di Bauman è dunque

«la relazione umana» e la sua sorte in un’età in cui «gli uomini e donne disperati perché abbandonati a se stessi, che si sentono degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di “instaurare relazioni” [sono] al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni “stabili”, per non dire definitive, poiché paventano che tale relazione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di … si, avete indovinato, di instaurare relazioni» (p. VI).

amore-linusLa relazione è dunque il terreno contemporaneo della più grande ambivalenza: deve essere leggera e flessibile per potersi rompere facilmente e dare la possibilità all’individuo contemporaneo di ricostituirsi, ritessersi, mantenendo intatta tutta la potenzialità relazionale di ognuno. In questo modo, ognuno è molto più solo che in passato, ma libero molto più che in passato di tentare forme e sistemi per uscire da questa solitudine.

Sembra, commenta Bauman, che le cose vadano come aveva osservato Heidegger:

«esse si manifestano alla nostra coscienza solo attraverso la frustrazione che provocano (allorché vanno in malora, svaniscono, tradiscono le nostre aspettative o la propria natura)».

Oggi l’attenzione dell’uomo contemporaneo tende a concentrarsi sulle soddisfazioni che le relazioni si spera arrechino, proprio perché per qualche ragione esse sono frustranti (sono fragili e deludono le aspettative di eternità) o sono temute (perché si scopre che quando soddisfano pienamente, il prezzo da pagare per questo appagamento è eccessivo in termini di perdita di libertà, cioè di quel potenziale che si congela ogni volta che inizia una relazione).

Bauman trova conferma nella centralità di interesse per le relazioni nel boom di consulenze che si occupano di curare i legami (counseling, terapia familiare), agenzie matrimoniali, rubriche rosa o per cuori solitari ecc. Secondo l’autore tutte queste consulenze hanno lo scopo di aiutare i singoli a «quadrare il cerchio», cioè a riuscire nel compito impossibile di costringere la relazione a

«dare senza prendere, a offrire senza chiedere, ad appagare senza opprimere» (p. VIII).

leonia

Viviamo tra i resti delle “cose nuove e diverse” che abbiamo amato

È qui che Bauman paragona l’individuo contemporaneo all’abitante di Leonia, una delleCittà invisibili di Calvino, i cui abitanti dichiarano che la loro passione è di «godere di cose nuove e diverse», consegnando al lavoro dello “spazzaturaio”, i resti delle “cose nuove e diverse” di ieri (Cfr. pp. IX-X). La Leonia sprecona sembra a Bauman una metafora calzante dell’ambiguità con la quale si dichiara oggi di desiderare più di ogni altra cosa la relazione, mentre in realtà ci si preoccupa soprattutto di evitare che questi rapporti si stabilizzino e si condensino.

Lo scenario liquido-moderno si presenta così come quello in cui si spera che

«le possibilità romantiche si susseguano a ritmo crescente e in quantità sempre copiosa facendo a gara nel superarsi a vicenda e nel lanciare promesse di essere più soddisfacenti e appaganti» (p. XII).

in questo modo, Amore liquido è dedicato ai rischi e alle angosce del

«vivere insieme e in disparte nel nostro mondo liquido-moderno» [vedi l’intervento di Massimo Recalcati sul tema].

 

Innamorarsi e disamorarsi [primo capitolo]

erich-fromm

Eric Fromm (1900 – 1980)

Che cos’è l’amore? Si chiede allora Bauman. Si tratta di un’esperienza che si può apprendere, un sapere che si può imparare? O forse si tratta di un’esperienza irripetibile e dunque impossibile da imparare?

È una domanda chiave, già affrontata da Fromm. I due autori concordano nel ritenere che una società malata disincentivi i sentimenti di amore e solidarietà umana, ma mentre Fromm, da filosofo, ne propone un’interpretazione antropologica, Bauman, da sociologo, ammette implicitamente che il comportamento umano, incluso quello amoroso, è una costruzione storica, legata alla cultura e alle esigenze sociali del tempo in cui si vive.

Piuttosto che una domanda su che cos’è l’amore, dunque, bisogna chiedersi a quale dinamica risponde il bisogno di amare nel tempo presente? E qui ritrova Fromm:

«la soddisfazione, nell’amore individuale, non può essere raggiunta senza la capacità di amare il prossimo con umiltà, fede, coraggio», ma «in una cultura in cui queste qualità sono rare, l’acquisizione della capacità di amare è condannata a restare un successo raro» (p. 11).

Perciò, osserva Bauman, «in una cultura consumistica come la nostra, che predilige prodotti pronti per l’uso, soluzioni rapide, soddisfazione immediata, risultati senza troppa fatica, ricette infallibili, assicurazione contro tutti i rischi e garanzie del tipo “soddisfatto o rimborsato”, quella di imparare ad amare è la promessa (falsa, ingannevole, ma che si spera ardentemente essere vera) di rendere l’esperienza dell’amore simile ad altre merci, che attira e seduce sbandierando tutte queste qualità e promettendo soddisfazioni immediate e risultati senza sforzi» (p. 11).

Ma l’eros, come ha notato Emmanuel Levinas, è diverso dal possesso e dal potere,

«è una relazione con l’alterità, con il mistero, vale a dire con il futuro, con ciò che è assente dal mondo che contiene ogni cosa che c’è […]», «il pathos dell’amore consiste nell’insormontabile dualità degli esseri». I tentativi di superare tale dualità, di rendere l’ignoto prevedibile, di domare il bizzoso e incatenare il girovago, tutte queste cose sono la campana a morte dell’amore». «L’amore si sforza costantemente di eliminare le proprie fonti di precarietà e di apprensione, ma qualora ci riesca inizia rapidamente ad avvizzire, svanisce» (p. 12).

Inteso in questo modo, l’amore è desiderio. Il desiderio è impulso ad assimilare, possedere, consumare, qualcosa che è fuori di noi e che svanisce non appena tale movimento si realizza. Nella sua essenza è un impulso di distruzione. Al contrario, l’amore è invece il desiderio di prendersi cura e di preservare l’oggetto della propria cura, è espansione e dono di sé.

amore-morto«L’amore consiste nella sopravvivenza dell’io attraverso l’alterità dell’io. E dunque amore significa prepotente desiderio di proteggere, nutrire, riparare, coccolare, accudire, oppure difendere gelosamente. Insomma, anche l’amore, come il desiderio, «è una minaccia per il proprio oggetto. Il desiderio distrugge il proprio oggetto, distruggendo nel processo se stesso; la rete protettiva che l’amore tesse amorevolmente intorno al proprio oggetto amato schiavizza l’oggetto stesso» (p. 16).

Con questa analisi della fenomenologia dell’amore, Bauman sembra avanzare la tesi che il tempo attuale, il liquido-moderno, è sfavorevole all’amore, mentre sembra più adatto al desiderio.

[Mappa]

La voglia prende il posto del desiderio

Solo apparentemente, però: il desiderio ha, infatti, bisogno di distanza, di tempo da consumare per essere messo in scena e vissuto. Il tempo attuale invece celebra l’istante e la soddisfazione, ottenuta prima ancora di desiderare. La voglia,prende così il posto del desiderio.
Bauman analizza allora gli interventi di due psicologhe sulla rubrica settimanale del Guardian che gli sembrano rappresentativi del tipo di consigli si offrono ai cuori solitari nella modernità liquida:

«ogni volta che ti impegni sentimentalmente, per quanto alla leggera, ricordati che stai probabilmente chiudendo la porta ad altre opportunità romantiche (vale a dire che stai abdicando al diritto di “rimetterti a caccia”, almeno fino a quando il partner non reclami per primo tale diritto)» (p. 17).

Desiderio e amore qui si escludono a vicenda. Ma forse, osserva il sociologo, quando si deve commentare il breve flirt, la conquista di una sera, parlare di desiderio è eccessivo.

«Come per lo shopping: oggi chi va per negozi non compra per soddisfare un desiderio […] ma semplicemente per 
togliersi una voglia. Ci vuole tempo, (un tempo insostenibilmente lungo per gli standard di una cultura che aborre la procrastinazione e postula invece il soddisfacimento immediato) per seminare, coltivare, nutrire, il desiderio.

Il desiderio ha bisogno di tempo per germogliare, crescere e maturare. Via via che il “lungo termine” diventa sempre più breve, la velocità con cui il desiderio giunge a maturazione resiste ostinatamente all’accelerazione; il tempo occorrente per ottenere il ritorno dell’investimento della coltivazione del desiderio appare sempre più lungo, lo si avverte esasperante e insopportabile» (p. 17).

«Oggi i centri commerciali tendono ad essere progettati pensando a desideri facili da nascere e rapidi a estinguersi, non all’onerosa e protratta creazione e coltivazione dei desideri. L’unico desiderio che una visita al centro commerciale deve instillare e instilla è quello di reiterare all’infinito l’eccitante momento del lasciarsi andare, del dare briglia sciolta alle proprie voglie senza un copione prestabilito» (p. 18).

«Togliersi una voglia, diversamente dall’esaudire un desiderio, è soltanto un atto estemporaneo, che si spera non lasci conseguenze durevoli che potrebbero ostacolare ulteriori momenti di estasi gioiosa. Nel caso delle relazioni, e delle relazioni sessuali in particolare, seguire le voglie anziché i desideri significa lasciare la porta bene aperta “ad altre opportunità romantiche” le quali, come sostengono le psicologhe del Guardian potrebbero rivelarsi più soddisfacenti e appaganti» (p. 18) (Già André Gide aveva osservato che “scegliere è privarsi”, privarsi cioè delle possibilità non scelte).

«Mentre il principio del togliersi-le-voglie è inculcato a fondo nella condotta quotidiana dai poteri forti del mercato dei beni di consumo, il coltivare un desiderio sembra inquietantemente, inopportunamente, fastidiosamente, propendere dalla parte dell’impegno amoroso. Il desiderio va curato, coltivato, implica una cura prolungata, un difficile negoziato senza soluzioni scontate, qualche scelta difficile e alcuni compromessi dolorosi […] nella sua radicalizzata reincarnazione sotto forma di voglia, il desiderio ha perso gran parte dei suoi attributi fastidiosi […]. Come recitava il messaggio pubblicitario di una famosa carta di credito, oggi “ è possibile eliminare l’attesa dal desiderio”.

Quando è pilotata dalla voglia, la relazione tra due persone segue il modello dello shopping e non chiede altro che le capacità di un consumatore medio, moderatamente esperto. Al pari di altri prodotti di consumo, è fatta per essere consumata sul posto (non richiede addestramento ulteriore o una preparazione prolungata) ed essere usata una sola volta. Innanzitutto, la sua essenza è quella di potersene disfare senza problemi. Se ritenute scadenti o non di piena soddisfazione le merci possono essere sostituite con altri prodotti che si spera più soddisfacenti […] ma anche se mantengono le promesse, nessuno si aspetta da esse che durino a lungo; dopo tutto, automobili, computer o telefoni cellulari in perfetto stato e ancora funzionanti vengono gettati via senza troppo rammarico nel momento stesso in cui le loro versioni nuove e aggiornate giungono nei negozi e divengono l’ultimo grido. Perché mai le relazioni dovrebbero fare eccezione alla regola?» (pp. 19-20).

Tuttavia, si decide ancora di investire nelle relazioni: chi lo fa fa si aspetta prima di tutto sicurezza,

«una mano nel momento del bisogno, un sostegno nel dolore, compagnia nella solitudine, soccorso nei guai, consolazione nella sconfitta e plauso nella vittoria» (p. 21).

Ma avendo abolito l’eternità nelle relazioni affettive e avendola sostituita con l’idea di un investimento remunerativo (in termini di sicurezza, piuttosto che di interesse monetario), la relazione non dà più ciò che promette: cerchiamo sicurezza da qualcuno che ha il nostro stesso obiettivo ma che, come noi, può decidere in qualunque momento di spostare altrove l’oggetto del suo investimento. Per questo

«la relazione amorosa vista come una transazione d’affari non è certo una cura per l’insonnia […] la solitudine genera insicurezza, ma altrettanto sembra fare la relazione sentimentale. In una relazione puoi sentirti altrettanto insicuro di quanto saresti senza di essa, o anche peggio. Cambiano solo i nomi che dai alla tua ansia» (p. 22).

Stock Market Discussion

viviamo l’amore secondo la cifra del nostro tempo, come un investimento temporaneo che deve essere massimamente remunerativo

violenza-donneQuando le persone si sentono insicure, osserva Bauman citando uno psicologo esperto matrimonialista,

«tendono a comportarsi in modo non costruttivo, tentando o di compiacere o di controllare o forse addirittura venendo alle mani – tutti sistemi che probabilmente non fanno altro che allontanare la persona amata. Una volta insinuato il tarlo dell’insicurezza, la navigazione non è mai sicura, ragionata, tranquilla. Senza timone, la fragile zattera della relazione ondeggia sui due nefasti scogli su cui tanti rapporti si infrangono: sottomissione totale e potere totale, accettazione supina e prevaricazione arrogante, rinuncia alla propria autonomia e distruzione dell’autonomia del partner. L’infrangersi contro uno qualsiasi di questi scogli farebbe affondare finanche una nave in perfette condizioni e con un equipaggio esperto, figuriamoci una zattera con a bordo un marinaio inesperto che, cresciuto nell’epoca dei pezzi di ricambio, non ha mai imparato l’arte della riparazione. Nessuno dei marinai di oggi perderebbe tempo a riparare la parte danneggiata, ma la sostituirebbe con un’altra identica. Sulla zattera delle relazioni tuttavia non ci sono ricambi disponibili» (pp. 23-24).

L’analisi di Bauman prosegue qualche pagina oltre intorno alle cosiddette coppie semi-libere,

«questi rivoluzionari delle relazioni che hanno fatto esplodere la bolla soffocante della coppia. Si tratta di coppie nelle quali i due partner preferiscono mantenere i loro appartamenti, conti in banca e cerchia di amici e nelle quali il matrimonio vecchio stile è sostituito da un modello flessibile, part-time di stare insieme. Su questo fenomeno, gli esperti sono divisi: si oscilla da una entusiastica approvazione del modello visto come la realizzazione della “quadratura del cerchio” di un genuino dare e avere senza pagare il pedaggio della perdita di indipendenza, all’accusa di codardia: il rifiuto di affrontare le prove e le difficoltà che la creazione di una coppia stabile comporta» (p. 52).

 Dentro e fuori la cassetta degli attrezzi della socialità [secondo capitolo]

amore-ebook-cover

soggetti fallici

La tesi che Bauman difende a proposito delle forme contemporanee della sessualità è che, così come la modernità liquida sembra aver sgretolato la relazione sentimentale, così ha anche snaturato la sessualità fino a farla diventare problema, piuttosto che opportunità di piacere e soddisfazione per l’uomo moderno.

Come osserva Bauman,

«il desiderio sessuale era e resta […] sociale. Esso si protende verso un altro essere umano, eisge la presenza di un altro essere umano e si sforza di forgiare tale presenza in un’unione. Anela l’aggregazione, rende ogni essere umano, per quanto completo e per alti aspetti autosufficiente, incompiuto e monco – a meno che non sia unito a un altro essere umano» [p. 53].

E’ perciò soprattutto a partire da questo capitolo che il sociologo getta una sguardo preoccupato sulle forme della socialità che si esprimono nell’età contemporanea, forme che tradiscono un’incapacità crescente degli individui di uscire da sé e trovare modi gratificanti di aggregazione. Di tale disagio è indice anche la sessualità che

«non compendia più l’ideale di piacere e felicità. Non è più mistificato, in senso positivo come estasi e trasgressione, quanto piuttosto, in senso negativo, come causa di oppressione, ineguaglianza, violenza, abuso e infezione letale» [p. 54].

Il sesso sembra diventato il regno non più di Eros, ma del suo vendicativo fratello Anteros, il dio dell’amore respinto. Sotto gli auspici di questa divinità – prosegue Bauman, insistendo nella metafora mitologica – le passioni devono essere messe al bando e il sesso viene proclamato un’azione razionale, calcolata, dettata da regole ferree: il risultato?:

«Oggi tutti sono al corrente e nessuno ha la più pallida idea» [p. 54].

L’uomo contemporaneo è fecondazione-assistitaorfano di Eros. Proprio per questo, il sesso è medicalizzato e fa si che ci si rivolga sempre più spesso al terapeuta. Ci si cura per le patologie della propria vita sessuale e della propria fecondità.

«Oggi la medicina compete con il sesso per la responsabilità sulla “riproduzione”».L’affascinante prospettiva, appena dietro l’angolo – ironizza Bauman – «di scegliere un figlio da un catalogo di attraenti donatori, allo stesso modo in cui i consumatori contemporanei sono abituati a fare ordinativi tramite le aziende di vendita per corrispondenza o le riviste di moda e avere quel figlio scelto da loro nel momento scelto da loro» [p. 56].

nonno

un tempo i figli erano un ponte sull’immortalità

C’è stato un tempo in cui i figli erano ponti tra mortalità e immortalità, tra la vita dell’individuo orribilmente breve e una durata auspicabilmente infinita della stirpe. Morire senza figli voleva dire non costruire mai più tale ponte. Con la nuova fragilità delle strutture familiari, con l’aspettativa di vita di molte famiglie più breve di quella dei suoi singoli membri, fare un figlio diventa sempre più spesso una questione di scelta – ma di una scelta revocabile – un figlio può essere un ponte verso qualcosa di più durevole. Ma di cosa? Di un rapporto genitore-figlio più stabile di quello della coppia genitoriale?

utero-in-affitto

si possono scegliere da catalogo le caratteristiche del donatore e della madre surrogata

 

 

 

 

Secondo Bauman i figli oggi «sono prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo» [p. 58]. Gli oggetti di consumo soddisfano i bisogni, desideri o capricci del consumatore e altrettanto fanno i figli. I figli sono desiderati per la gioia dei piaceri genitoriali che si spera arrecheranno, il tipo di gioie che nessun altro oggetto, per quanto ingegnoso o sofisticato, può offrire.

I figli sono probabilmente gli acquisti più costosi che i consumatori medi compiono in tutta la loro vita. Cosa ancora peggiore, è probabile che il costo totale aumenti nel corso degli anni e il suo volume non può essere determinato anticipatamente, né calcolato con qualche grado di certezza. Ma, in un mondo che non offre più carriere sicure e lavori stabili, per tutti quelli che passano da un progetto all’altro e che in questo modo si procurano da vivere, firmare un contratto ipotecario con termini di pagamento di entità segreta e durata indefinita significa esporsi a un rischio altissimo e a una prolifica fonte di ansie e di paure. Inoltre, oggi avere figli è una questione di libera scelta, non una casualità, circostanza questa che accresce ancora di più l’ansia.

«”Mettere su famiglia” è come tuffarsi testa in giù in acque sconosciute di cui non si conosce la profondità: Abbandonare o posticipare altre seducenti gioie di un’attrazione consumistica ancora mai provata»,

ma non è l’unica conseguenza. Avere figli significa assumersi la responsabilità del benessere di un’altra creatura più debole e indifesa. L’autonomia delle proprie scelte è destinata ad essere compromessa, reiteratamente, anno dopo anno, quotidianamente:

«si corre il rischio di diventare, orrore degli orrori, “dipendente”» [vedi Massimo Recalcati, Incubi della modernità: madri narciso e madri coccodrillo].

Avere figli potrebbe comportare l’esigenza di ridurre le proprie ambizioni professionali, di “sacrificare al carriera”, in quanto chi è chiamato a giudicare il rendimento professionale di una persona, non vedrebbe di buon occhio il benché minimo segnale di fedeltà separate. Ma la cosa più grave e dolorosa di tutte per l’uomo contemporaneo è accettare questa dipendenza per un tempo indefinito, assumere un impegno irrevocabile a tempo indeterminato: è il tipo di obbligo che mal si confà al modo di vivere liquido-moderno.

«Acquisire la consapevolezza di un tale impegno può rivelarsi un’esperienza traumatica: depressione post-parto e crisi coniugali (o di convivenza) dopo la nascita di un figlio appaiono mali prettamente liquido-moderni, allo stesso modo dell’anoressia, della bulimia e di innumerevoli forme di allergia. Le gioie dell’essere genitori, fanno insomma parte di un pacchetto tutto compreso, contenente anche le pene dell’autosacrificio e le paure di ignoti pericoli»:

né la clausola soddisfatti o rimborsati, né la promessa di un servizio di assistenza post-vendita fanno parte dell’evento nascita-di-un-figlio.

«In conclusione: l’ormai ampiamente riconosciuta separazione del sesso dalla funzione riproduttiva è assistita dal potere. E’ un prodotto congiunto dello scenario di vita liquido moderno e del consumismo quale strategia scelta e unica disponibile di “cercare soluzioni biografiche a problemi prodotti dalla società”. È la mescolanza di questi due fattori che sottrae le questioni della riproduzione e del parto all’ambito sessuale e le consegna ad una sfera affatto diversa, guidata da una logica e da regole totalmente avulse dall’attività sessuale». «Come a voler anticipare il modello che avrebbe prevalso ai nostri tempi, Erich Fromm tentò di spiegare l’attrattiva del “sesso in quanto tale”(sesso fine a se stesso, sesso praticato separatamente dalle sue funzioni ortodosse), definendo la sua qualità una risposta (fuorviante) all’umanissimo “desiderio di una fusione completa” attraverso una “illusione di unione” [p. 62].

Unione: è esattamente ciò che uomini e donne cercano, cercando disperatamente di sfuggire alla solitudine.

Illusione: perché l’unione raggiunta nel breve momento dell’apice orgasmico

«lascia gli estranei distanti esattamente come lo erano prima» cosicché «essi avvertono il loro estraneamento in modo ancora più marcato di prima» (le citazioni sono di Fromm). In tale modo, secondo Fromm, l’orgasmo sessuale «assume una funzione che lo rende non molto diverso dall’alcolismo e dalla tossicodipendenza». Al pari di questi, esso è intenso, ma «transitorio e periodico». L’unione è illusoria, secondo Fromm, e il sesso destinato a rivelarsi frustrante, a causa della separazione dall’amore (ovvero, sottolinea Bauman, da una dedizione intenzionalmente duratura, a tempo indefinito, verso il benessere del partner). Ancora per Fromm, «il sesso può essere solo uno strumento di genuina fusione, anziché essere un’effimera, ingannevole e in ultima analisi autodistruttiva impressione di fusione, grazie alla sua comunione con l’amore. Qualunque capacità di generare unione il sesso possa possedere, deriva dalla sua stretta connessione con l’amore» [p. 63]».

«Come a voler anticipare il modello che avrebbe prevalso ai nostri tempi, Erich Fromm tentò di spiegare l’attrattiva del “sesso in quanto tale” (sesso fine a se stesso, sesso praticato separatamente dalle sue funzioni ortodosse), definendo la sua qualità una risposta (fuorviante) all’umanissimo “desiderio di una fusione completa” attraverso una “illusione di unione” [p. 62].

 

Secondo Bauman, però,

«dai tempi di Fromm, l’isolamento del sesso dagli altri regni della vita è progredito più rapidamente che mai» [p. 63].

carrello-spesa

la merce e il consumo sono il quadro simbolico entro cui viviamo ogni aspetto della nostra vita moderna, come aveva intuito già Marx

Per questo ci si attende oggi che il sesso sia autonomo e autosuffciente, che la performance sessuale il più alto grado di perfezione e che arrechi il più alto grado di soddisfazione. Ma in questo modo, esso è diventato paradossalmente sempre più insoddisfacente: non regge al’esame delle alte aspettative ed è esso stesso fonte di frustrazione e ansia. La vittoria del sesso nella «guerra di indipendenza» dalle altre relazioni umane è dunque una vittoria di Pirro. E’ una vittoria nella quale il sesso si presenta come aspirazione alla felicità senza legami, libera da effetti collaterali, una felicità del genere «soddisfatti o rimborsati», ovvero una felicità che è la massima incarnazione della libertà liquido-moderna: una libertà di consumare (dopo quella del “sapiens” siamo all’era dell’homo consumens).

«La vita del consumatore predilige la leggerezza e la velocità, nonché la novità e la varietà che si spera leggerezza e velocità stimolino e facilitino. Di norma, l’utilizzabilità di un prodotto sura ben più a lungo dell’attrattiva che esercita agli occhi del consumatore. Ma se usato troppo a lungo, il prodotto acquistato ostacola la ricerca di varietà e a ogni successivo utilizzo la vernice della novità si deteriora e si scrosta» [p. 69].

Il matrimonio è la negazione di un uso ottimale delle proprie risorse sessuali in quanto costituisce un patto di esclusiva e di durevolezza della relazione. In questo clima, emergono nuove abitudini e nuovi modi di coniugare l’esclusività della relazione e la massima soddisfazione nella variazione del partner: lo scambismo, la pratica di scambiarsi il partner per una sera, sembra andare per la maggiore nelle grandi metropoli del nord. Esso infatti, sembra avere tutti i vantaggi e nessuno degli svantaggi della nuova relazione liquido-moderna: non è un adulterio (che minerebbe la stabilità della coppia incrinando la fiducia reciproca dei coniugi) poiché i coniugi sono informati e consenzienti dell’azione del partner e la riproducono nel medesimo tempo: il ménage à quatre sembra più efficace del ménage à trois.

Freud

Sigmund Freud (1856 – 1939)

A questo punto la riflessione di Bauman si sofferma sulla definizione del rapporto tra sesso e civiltà di Freud. Come si ricorderà, secondo Freud, sessualità e civiltà, libido e società, sono incompatibili: la civiltà sorge sulle energie sublimate degli uomini che rinunciano a scaricare sulla sessualità la loro energia vitale. Questa lettura freudiana era alla base della critica radicale che lo studioso muoveva allasocietà moderna, vista come una società essenzialmente repressiva, i cui luoghi di controllo e dominio sono stati individuati molto più tardi, dagli studiosi degli anni ’70(tra cui Foucault, Deleuze e Lyotard) nella fabbrica, nella scuola, nel carcere (cioè nelle foucaultiane istituzioni disciplinari). E’ a questo insieme di studi che Bauman fa implicitamente riferimento quando osserva:

«dopo l’era in cui l’energia sessuale doveva essere sublimata per tenere in funzione la catena di montaggio della fabbrica di automobili, è giunta l’era in cui c’è stato bisogno che l’energia sessuale venisse nutrita, lasciata libera di scegliere qualsiasi canale di sfogo disponibile e incoraggiata a dilagare, di modo che le automobili che lasciavano la catena di montaggio potessero essere desiderate come oggetti sessuali».

«Sembra che il legame tra la sublimazione dell’istinto sessuale e al sua repressione, da Freud ritenuto una condizione indispensabile di qualunque ordinamento sociale regolato, si sia spezzato. La società liquido moderna ha trovato un modo di sfruttare la propensione/disponibilità dell’uomo a sublimare gli istinti sessuali senza ricorrere affatto alla loro repressione. Ciò si è verificato grazie alla progressiva deregolamentazione dei processi di sublimazione che mutano perpetuamente direzione, guidati dalla seduzione degli oggetti del desiderio sessuale in offerta anziché da qualsiasi pressione coercitiva» [p. 80].

La diagnosi di Bauman si accorda su questo punto, con quella dei filosofi post-modernisti quali Deleuze e Lyotard, secondo i quali a partire dalla frattura socio-economica dei primi anni ‘60, staremmo abbandonando le foucaltiane società disciplinari per entrare nelle società di controllo: il postmoderno si qualifica infatti per l’allentamento del controllo-dominio centralizzato a vantaggio di un controllo capillare, reticolare e decentralizzato di cui la rete internet rappresenta la metafora per eccellenza, a cavallo tra l’onnipresenza della telecamera (il grande fratello, ovvero il massimo controllo del panottico ovunque) e la moltiplicazione delle possibilità espressive (dunque di libertà) di ognuno.

 Conclusione [mia]

Jacque Lacan

Jacques Lacan (1901 – 1981)

Il superamento postmoderno della dinamica edipica di costruzione dell’Io e dell’epoca delle nevrosi (l’epoca di Freud e della psicanalisi), ha aperto l’epoca delle psicosi, in cui gli individui non riescono più a costituirsi come soggetti e non soffrono più dunque, della repressione del desiderio, ma dell’inesistenza del principio di senso della realtà, cioè dell’Io. E’ l’individuo lacaniano del discorso del capitalistaè l’uomo senza inconscio di Recalcati.

[Elaborazione dagli atti di un convegno dell’Università di Bergamo] L’espressione «discorso del capitalista» è dello psicanalista Jacques Lacan. La sua tesi è che il fondamento ideologico e culturale del capitalismo sia un discorso dello slegame, della proliferazione della frammentazione e della precarietà della condizione esistenziale e sociale.

Egli rovescia l’ipotesi di Max Weber, che trova la genesi spirituale del capitalismo nell’ascetismo protestante, nella rinuncia e nel sacrificio di sé. Il «discorso del capitalista» esalta il godimento a scapito di ogni forma di legame. Il sacrificio di sé tipico dei primi capitalisti, è annullato dall’imperativo del consumismo, inteso come consumo di consumo. Dopo due secoli di incontrastato sviluppo, Lacan intuisce che il capitalismo non è solo uno dei modi più potenti di trasformare la società, da feudale a industriale, da contadina a urbana, da nazionale a globale, ma è un discorso che frantuma le relazioni affettive e solidali.

Massimo Recalcati

Massimo Recalcati

Il «discorso del capitalista», più di ogni altro, impoverisce la complessità del presente e le nostre qualità mentali. Pone dei forti limiti a quell’immaginazione creativa necessaria per interpretare in modo evolutivo le trasformazioni in corso. Il «discorso del capitalista» è una manifestazione del pensiero positivista monocausale. Espressione di una visione dell’agire sociale unidimensionale, esso rimanda agli schemi dualistici tipici della modernità (comunità/società, civiltà/cultura, Stato/società civile, normale/patologico), che hanno operato una riduzione drastica della complessità sociale e culturale.

Il «discorso del capitalista» è dunque immediatamente produttore di realtà, della quale si osservano le derive dell’utilitarismo, della crisi della gerarchia, della mercificazione, della “liquefazione” dei rapporti e delle regole, dei processi di normalizzazione e standardizzazione, ecc. Il pervertimento dell’utile, ad esempio, indica che, nell’attribuire un valore all’azione sociale, l’utile è il singolo parametro, che annichilisce qualsiasi altra dimensione dell’agire. Bellezza, giustizia, solidarietà, evaporano, assumendo la fumosità retorica delle buone intenzioni. Nella relazione con l’altro diventa prioritario avere un congruo tornaconto e le relazioni sociali tendono ad assumere un valore strumentale. Non solo l’utilità è assunta a valore, ma anche l’idea di performance efficiente è centrale, nel senso della velocità con cui si deve ottenere ciò che serve [da vent’anni la scuola sta cambiando in questa direzione: smettendo di preoccuparsi della crescita integrale degli studenti e adottando criteri di mera misurazione dell’adeguatezza a singoli compiti. NDR]. I contesti sociali richiedono una velocità di esecuzione degli obiettivi imposti o sollecitati che lascia poco tempo per ritardi, eventi gratuiti, momenti di socialità, di ascolto e di condivisione, ecc. Oltre all’utilità, e alla velocità, è richiesto di rispondere a standard rigorosi, che stabiliscono criteri universali per essere più veloci ed efficienti nel raggiungimento dei risultati.

Amelia,. la segretaria artificiale

Amelia,. la segretaria artificiale

La metafora millsiana del “docile robot” rende immediatamente il significato che si tende ad attribuire all’ottimizzazione dei processi produttivi.

È l’inumano tecnologico riproducibile in modo seriale, dove la dimensione sociale e artigianale del lavoro rischia continuamente di essere ridotta a procedura standardizzabile e anonima. L’umano del gesto tende trasformarsi in una componente meccanica riproducibile, impersonale, volta alla veloce precisione di un gesto utile e puntuale, che non si può permettere approssimazioni o improvvisazioni fuori dagli schemi protocollati. Restano forse spazi e tempi nuovi, inesplorati, in cui l’umano possa esprimersi con tutta la sua spontaneità, fragilità, consapevolezza. Al di fuori del gergo dell’ossessivo, dell’utile, del performativo, gli ambiti generativi della socialità, della giustizia, della prossimità forse possono ancora essere frequentati. Un forse che non è semplicemente avverbio dubitativo, ma è – come disse una volta André Neher – un “teologumeno”, appiglio sottile ma sublime su cui il discorso del capitalista si infrange, pietra d’inciampo su cui provare a modulare un’andatura nuova. Non pascersi nel vittimismo significa anche mantenere vigile l’attenzione, la “preghiera spontanea dell’anima”, verso le occasioni di riscatto, di nuovo inizio.

Fonte: http://gabriellagiudici.it/zygmunt-bauman-amore-liquido/

Mind Spiritual

Ama il prossimo tuo …

Dicembre 2, 2017

«Amerai il prossimo tuo come te stesso»
(Mt 22,39)

Questa frase del vangelo di Matteo non è da intendersi solamente come un comandamento, ma come una precisa legge psicologica secondo la quale possiamo amare l’altro nella misura in cui amiamo noi stessi, nulla di più, nulla di meno.

La quantità e la qualità dell’amore che emaniamo verso l’esterno trova origine all’interno del nostro cuore, e a nulla servono gli sforzi di aderire quanto più possibile a un dato modello comportamentale se non a scimmiottare qualcosa che in realtà non ci appartiene ancora a livello profondo.L’altro svolge l’importantissima funzione di mostrarci esattamente in che misura abbiamo imparato ad amare noi stessi e di conseguenza gli altri, in un gioco di incastri perfetto, all’interno del quale ciascuno sperimenta la possibilità di entrare in contatto con i propri blocchi, con le proprie ferite e guarirle.

Fin quando non sappiamo chi siamo, fin quando non ci è chiaro che la fonte zampillante di ogni grazia risiede all’interno di noi, saremo costretti a mendicare all’esterno ogni tipo di appagamento emotivo ed affettivo, in un turbinio di relazioni che sfocia spesso nella dipendenza, nelle aspettative deluse, nella richiesta più o meno esplicita di vedere i propri bisogni e i propri desideri realizzati attraverso l’uso esclusivo dell’altro.

Sembra quasi uno scenario apocalittico, ma il più delle volte è esattamente così che si espleta questo “gioco”, che nei casi più estremi arriva persino a sfociare nella violenza e nell’omicidio laddove le proprie richieste egoiche non vengano soddisfatte.

Tutte le ferite, tutte le esperienze dolorose non servono ad altro che ad indirizzare la nostra attenzione verso l’interno, a rendere la nostra attitudine nei confronti della vita intro-versa, recuperando la nostra innata regalità, la nostra naturale capacità di generare amore senza cercarlo in qualche posto là fuori.

Potremmo paragonare l’intero processo ad un viaggio.
All’inizio ci troviamo all’interno della nostra casa, e da lì procediamo verso l’esterno… poi, dopo tutta una serie di peripezie nelle quali sperimentiamo la solitudine e la lontananza dal nucleo, facciamo ritorno al nostro focolare, per accorgerci che il tesoro che abbiamo a lungo cercato era sempre stato lì, a meno di un palmo da noi.

Il lungo e tortuoso cammino nell’illusione di chi non siamo non è però fine a se stesso, anzi tutt’altro.
Nel corso di quest’avventura infatti, impariamo l’uso corretto degli strumenti più disparati, affiniamo le nostre capacità, apprendiamo il discernimento, ed infine approdiamo al riconoscimento di quelle particolari qualità che ci appartengono fin dalla nascita e che costituiscono le peculiarità esclusive della nostra anima, quel quid che appartiene a noi e soltanto a noi, e che non può essere espresso nello stesso identico modo da nessun altro.
Si tratta di una nota, di un suono musicale che una volta riconosciuto e manifestato è unico nel suo genere, ed insieme ad altri suoni particolarmente affini può dar vita ad una melodia senza eguali.
Uno dei principali scopi dell’esistenza umana è trovare questo suono ed esprimerlo, allineandosi così al proprio progetto d’amore.
Tutta l’esperienza umana non è altro che questo, un’educazione all’amore.

Riporto uno scritto di Paola Ferraro che descrive meravigliosamente questo processo al quale tutti, ciascuno con i propri modi e con i propri tempi, siamo chiamati:

“Educare deriva da educere, che significa ‘Tirare fuori’ ciò che già c’è.
Saper vedere e riconoscere l’Unicità che abita la persona senza volerla correggere o riadattare, nella piena fiducia del Progetto in cui siamo immersi.
Ecco che qualsiasi tipo di ‘educazione’ parte da noi, e da quanto sappiamo ascoltare,
riconoscere e valorizzare il Codice originario che abbiamo scritto dentro,
e che diventa richiamo alla nostra realizzazione.
Quel Codice è fatto d’Amore,
è manifestazione del Creato che ha un progetto ben preciso per ognuno di noi.
Nella quotidianità che ‘fa rumore’ e che accelera i ritmi coprendo il nostro ‘battito’, concederci lo spazio e il tempo per ricontattarlo, sentirlo, riconoscerlo, è vitale.”

Non c’è amore più grande di quello che nascendo da sé, basta a sé stesso e diviene nutrimento anziché dispendio d’energie.

Roberto Senesi

Scopri di più su http://www.visionealchemica.com/il-viaggio-verso-amare-il-prossimo-tuo-come-te-stesso/#I1RPbi743p5pZFYe.99

Mind Spiritual

Il distacco nel presente

Dicembre 2, 2017

Madre Teresa di Calcutta diceva “Ieri è passato. Il domani non è ancora arrivato. Abbiamo solo l’oggi: cominciamo“. Questa frase racchiude appieno il concetto di distacco emotivo.

Spesso si parla di distacco emotivo ma a quanto pare non è di facile comprensione.  Per rendere il concetto maggiormente comprensibile vi invito a riflettere su questa storiella.

Psicoracconto sul distacco emotivo

Un turista americano viaggia a Calcutta, con il solo scopo di visitare un famoso saggio. Il turista si sorprese di vedere che il saggio viveva in una stanza molto semplice ma piena di libri. Gli unici mobili erano un letto, un tavolo e una panca.

– Dove sono i suoi mobili? – chiese il turista.

E il saggio gli chiese a sua volta: – e dove sono i tuoi?

– I miei? – Sorpreso, il turista risponde – Ma io sono qui solo di passaggio!

– Anche io … – concluse il saggio.

Questa favola rappresenta perfettamente uno dei pilastri del buddismo, filosofia alla quale ha attinto recentemente la Psicologia: il distacco emotivo, che è una delle principali vie per raggiungere la pace spirituale, il benessere e la felicità. Tuttavia, è anche una delle leggi più difficili da mettere in pratica.

La legge del distacco ci insegna a focalizzare l’attenzione su quello che desideriamo

Ci insegna a fare i passi necessari per conquistare i nostri sogni e poi trovare sicurezza nella saggezza dell’incertezza lasciando andare ogni attaccamento al risultato… un passo essenziale per raggiungere i nostri obiettivi.

Il soffrire è il prezzo che si paga per i propri attaccamenti

Ogni scelta, la più bella, contiene l’ombra del disappunto per tutto ciò che non si è scelto o non è stato possibile conoscere o vivere. Inoltre, anche i momenti più gioiosi nascondono il rammarico della fine: si esaurisce una tappa della vita, una vacanza, un idillio d’amore, un tramonto.

A cosa serve il distacco emotivo?

Uno dei fondamenti di qualsiasi percorso di miglioramento personale o professionale consiste nell’avere obiettivi precisi, concreti e misurabili. Ci piace sapere quando raggiungeremo l’obiettivo pur sapendo che ciò richiede determinati criteri.

In pratica, come facciamo a sapere quando ce l’abbiamo fatta? Beh, è semplice capirlo: se voglio perdere peso per avere un aspetto più piacevole, basta che controllo la bilancia dopo un tot di mesi, il peso raggiuntomci dirà se ci sono riuscita.

A volte però la risposta può essere più complessa: se voglio diventare una persona “migliore” e “stare meglio”, quali sono i criteri per capirlo? Che significa voglio stare meglio?

A monte di tutto dovrei chiedermi: cosa voglio veramente?

Facciamo un esempio: voglio un’auto di lusso. Ok, ma perché? Perché guidarla mi farebbe stare meglio. Bene, ma perché voglio sentirmi così?……….Ed ecco si arriva alla vera essenza della risposta

Tutto ciò che voglio nella vita è ESSERE FELICE

A questo punto è legittimo chiedersi: come cerco la mia felicità: la cerco fuori di me, quindi nel possesso di oggetti o nella sperimentazione di determinate situazioni, oppure la cerco dentro di me, come un’identità che prescinda dall’esterno?

In analisi, il primo tipo di ricerca è fonte inesauribile di stress e insoddisfazione: fino a che non ho quello che voglio, mi sentirò ansiosa di ottenerlo. E più sperimenterò ansia e frustrazione, più attrarrò… lo stesso: ansia e insoddisfazione!

Ecco perché è importante provare a vivere distaccati dal risultato di ogni situazione che sperimentiamo. Dobbiamo imparare a vivere con l’impegno per migliorare il nostro futuro, ma restando focalizzati sul momento presente. In altre parole, muoversi verso quello che si desidera distaccandosi emotivamente dal risultato finale.

L’attaccamento è espressione di insicurezza

La legge del distacco emotivo indica che dobbiamo rinunciare al nostro attaccamento alle cose, che non significa rinunciare ai nostri obiettivi; non rinunciamo all’intenzione, ma piuttosto all’interesse per il risultato. A prima vista potrebbe sembrare una variazione non sostanziale, ma in realtà, è un enorme cambiamento nel modo in cui comprendiamo il mondo e il nostro modo di vivere.

In effetti, nel momento stesso in cui perdiamo l’interesse per il risultato ci allontaniamo dal desiderio, che viene spesso confuso con il bisogno spingendoci a perseguire obiettivi che in realtà non ci soddisfano.

In quel momento, abbiamo adottato un atteggiamento più rilassato, e anche se può sembrare un controsenso, in questo modo ci risulterà più facile ottenere ciò che vogliamo. Questo perché il distacco si basa nella fiducia nelle nostre potenzialità, mentre l’attaccamento si basa nella paura della perdita e nell’insicurezza.

Quando ci si sente insicuri, ci si attacca alle cose, alle relazioni o le persone. Tuttavia, il dato curioso è che più sviluppiamo questo attaccamento, e più cresce la paura della perdita. Questa paura non riguarda solo la nostra stabilità emotiva, ma ci può anche spingere a creare dei modelli di comportamento disfunzionale.

Per esempio, possiamo sviluppare un attaccamento malsano alle cose, come le persone che non possono vivere senza il loro smartphone e che soffrono addirittura di allucinazioni uditive causate dall’abitudine di essere perennemente in attesa della chiamata successiva o di un messaggio. Naturalmente, si può anche cadere vittima di schemi relazionali dannosi che soffocano la persona che amiamo e danneggiano profondamente la relazione.

Tuttavia, il distacco emotivo suppone un altro modo di relazionarsi, implica non dipendere da ciò che possediamo o dalla persona con la quale abbiamo stabilito dei legami affettivi. È importante capire che “distacco” non significa non amare, ma essere autonomi, liberi dalla paura della perdita per iniziare veramente a godere di ciò che abbiamo o della persona che amiamo.

Il distacco non significa non godere e provare piacere per l’esperienza ma, al contrario, cominciare a viverla più intensamente, perché le nostre esperienze non sono più offuscate dalla paura della perdita.

Il distacco è parte integrante (e fondamentale) dell’arte di far accadere le cose che vuoi

Chi pratica il distacco verso i proprio obiettivi vive sereno, completamente soddisfatto e rilassato, ed è proprio questo non-attaccamento, paradossalmente, a portare verso l’obiettivo in modo rapido e sicuro. Perché il “bisogno” da che cosa deriva?

Dalla mancanza di quella stessa cosa. Pertanto, quando sentiamo il bisogno di qualcosa, di qualcuno o di qualche situazione, in realtà stiamo esprimendo un sentimento di mancanza. Questa mancanza ci porta ad attrarre, in definitiva, altra mancanza.

I problemi sono opportunità

La Legge del Distacco Emotivo non ci dice che non dobbiamo avere degli obiettivi. Quando abbracciamo il distacco non diventiamo foglie mosse dal vento. Infatti, gli obiettivi sono importanti per marcare la direzione verso cui incamminarci.

Tuttavia, il dato interessante è che tra il punto A e il punto B, vi è l’incertezza, un universo quasi infinito di possibilità. Così, per raggiungere il nostro obiettivo, possiamo seguire diversi percorsi e cambiare direzione quando vogliamo.

Questo modo di intendere la vita ci porta un altro vantaggio: non forzare le soluzioni ai problemi e mantenerci attenti alle opportunità. Quando si pratica il vero distacco, non ci si sente in dovere di forzare le soluzioni ai problemi, ma siamo pazienti e aspettiamo e, mentre lo facciamo, scopriamo le opportunità.

Di sicuro, ogni problema contiene un opportunità che racchiude un beneficio. Quello che succede è che con la mentalità dell’attaccamento, ci sentiamo impauriti e cerchiamo di forzare la soluzione, quindi la maggior parte delle volte ci concentriamo sulla parte negativa del problema e perdiamo l’opportunità che questo racchiude.

Tuttavia, quando crediamo che ogni problema contiene i semi dell’opportunità, ci apriamo a una più vasta gamma di possibilità. Così, non solo soffriremo molto meno nelle avversità, ma troveremo la soluzione più velocemente e questo ci permetterà di crescere come persone.

“Tutte le cose alle quali ti aggrappi, e senza la quali sei convinto che non puoi essere felice, sono semplicemente la causa della tua angoscia. Ciò che ti rende felice non è la situazione intorno a te, ma sono i pensieri nella tua mente … “

Per capire meglio cosa intendo, ecco una definizione di attaccamento: ogni volta che pensiamo a come vorremmo che cambiassero per poter essere felici, allora NON siamo distaccati dal risultato della situazione che stiamo vivendo.

Un esempio: se il mio partner mi trascura, invece di focalizzarmi su come cambiarlo e sul dolore che mi procura, dovrei distaccarmi da tutto questo e concentrarmi sulle opportunità che mi ruotano intorono: potrei frequentare una persona che riesca davvero ad appagare i miei bisogni insoddisfatti nel rapporto di coppia che sto attualmente vivendo.

“Ci sono solo due giorni all’anno in cui non puoi fare niente: uno si chiama ieri, l’altro si chiama domani, perciò oggi è il giorno giusto per amare, credere, fare e, principalmente, vivere” (Dalai Lama)

Ecco, focalizzarsi solo su quello che desideriamo e nello stesso tempo vivere e apprezzare quello che sperimentiamo ora, come parte indispensabile del percorso verso la realizzazione del nostro obiettivo.

Vivere in attesa dell’arrivo di un futuro migliore

Il vero problema per la maggior parte delle persone, quello che ci rende infelici, è il vivere in attesa dell’arrivo di un futuro migliore, cosa che ci allontana al godimento del presente e alla possibilità di sfruttare certe occasioni

Invece di attaccarci emozionalmente ad un risultato futuro specifico, iniziamo ad attaccarci al momento presente: non dimentichiamo che il momento presente è tutto quello che abbiamo!

Quando ci accorgiamo di desiderare qualcosa così fortemente da non poter vivere senza, mettiamoci davanti a uno specchio e diciamo a noi stessi: “OK, non ho davvero bisogno di questo per essere felice. Voglio solo illudermi. Quello di cui ho davvero bisogno è il miglior risultato possibile per questa situazione, qualunque esso sia. Mi serve soltanto avere la consapevolezza che sto dando il meglio di me.”

Questo non significa che non dobbiamo credere più nei nostri progetti

Significa semplicemente che la nostra felicità deve essere indipendente dal risultato finale. Significa che dobbiamo focalizzarci sul presente ed essere se stessi piuttosto che voler raggiungere a tutti i costi un risultato nel nostro futuro.

Quando impareremo a non farci influenzare eccessivamente da quello che vogliamo cambiare, vedremo letteralmente “comparire” nella nostra vita i nostri desideri, ci divertiremo e saremo più liberi e felici di quanto  non siamo stati finora.


Se ti è piaciuto questo articolo puoi seguirci sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor, sul mio account personale o nel nostro gruppo Dentro la Psiche. Puoi anche iscriverti alla nostra newsletter. Puoi leggere altri miei articoli cliccando su *questa pagina*.

Fonte : http://psicoadvisor.com/impara-distaccarti-cio-desideri-la-legge-del-distacco-5806.html

Mind

D’Avenia Parlando di Dostoevsky

Ottobre 3, 2017

Io di uno che non mi nasconde tutta la mia miseria e che mi dice che proprio a partire da quella miseria posso trovare o infondare tutta  la mia bellezza mi fido