… Non ci sono piú i giusti,
la terra è abbandonata ai malfattori.
A chi parleró oggi?
Al male che colpisce la terra non c’è fine …
Sembrano parole di catastrofe.
Queste sono parole o meglio parole che derivano da geroglifici scritti da un poeta africano nel 2000 a.C. circa e che si interroga su valori di giustizia, ricchezza e di bene.
Parla di uomini che schiacciano altri uomini.
Piú tardi, nel 500 a.C. circa, un poeta del popolo ebraico:
Guai a quelli che promulgano decreti
Ingiusti e maligni
E nel redigerli mettono per iscritto
Le leggi dell’oppressione:
per privare i deboli della giustizia
e derubare del diritto i poveri.
L’oppressione puó rendere stolto un sapiente.
Tempo prezioso, prezioso tempo. Quanto la digitalizzazione ci sta facendo non vivere? Quanto il nostro tempo è dedito al monitor? Perché non possiamo di nuovo essere vivi? Stare nell’essere.
Continuare a scorrere velocemente miliardi di concetti rapidi meno di un secondo ci porta ad avere alla fine una mente, ma soprattutto uno spirito completamente vuoto, ad essere svuotati delle nostre emozioni.
Sono stati fatti studi approfonditi su questo. La perdita di empatia per via dell’aumentare dei social.
“L’analfabetismo delle emozioni è inseparabile dall’analfabetismo dei pensieri, e ogni analfabetismo passa attraverso l’incapacitá di leggere le parole che cercano di dire il mondo e noi nel mondo: vivere immersi come ipnotizzati nella nube social-narcisa, dove la capacitá di lettura di se stessi e del mondo si degrada, evita le situazioni in cui il narcisismo viene sanamente messo in crisi, e genera difficoltá a gestire i sentimenti e le passioni con i loro complessi passaggi intermedi. Cosí l’amore, proprio quando la sua ombra spettacolare prospera nella caverna della chiacchierata totalitaria, va incontro al naufragio: perché ogni amore è basato sulla corrispondenza tra due esseri diversi che, nel loro incontrarsi, devono affrontare allo stesso tempo fusione e distruzione, unione e separazione, felicitá e tristezza, per arrendersi alla veritá che non nella ricchezza dell’abbondanza, ma nella povertá del bisogno vive il bimbo divino.”
Un testo, vademecum, molto molto illuminante che ci ricorda “che solo il lettore selvaggio, disposto a lasciarsi cambiare dai libri che incontra, è pronto a nascere e ad amare di nuovo lasciando andare la prigionia del digitale per poter guadagnare in tutta la propria vita se stesso”.
Un vivido inno al lettore, a colui che legge e che non si prende in giro, con finte mancanze di tempo.
“La scuola della buona noia vuole produrre analfabeti funzionali che credono in un pensiero unico, in una sola realtá: contro i nemici dell’emozione e dell’intelligenza i lettori selvaggi pensano molte realtá diverse , e leggono poesia, scienza, arte, diritto, sogno. Nessun nemico è onnipotente se smettiamo di essere suoi complici.”
“Allora presto, beviamo e mangiamo con tutti i sensi la bellezza e la veritá che ci sono in Platone, Mozart, Leopardi, Van Gogh, Einstein, Bob Dylan, o saremo grassi di bugie come oche da sgozzare nelle cucine del futuro: i lettori selvaggi sanno che nessuno si salva da solo, che il tempo per salvarsi non c’è mai stato, che il tempo per salvarsi è ora.”
Perché leggere un libro in metropolitana quando tutti hanno la faccia sbattuta sullo schermo? Perché pensare è faticoso, meglio guardare un qualcosa che scorre veloce e che mi fa uscire da me stesso. Oppure meglio chattare. L’autore, con tutto il consenso, si domanda dove siamo arrivati, a che malattia siamo.
“Il tempo che serve non è il tempo dell’orologio, ma il tempo in cui sento che nei libri si parla proprio di me. Non quel me stesso fissato nelle sue sciocchezze, quell’essere abitudinario che conosco troppo bene senza capirlo per niente, no, non lui, ma il me stesso che ignoro ancora, che a volte mi appare in sogno e che in certe sere scopro leggendo.”
Per scampare alla noia abbiamo bisogno dell’amore.
Amare vuol dire entrare ed uscire da una realtá completamente diversa dalla nostra, senza sapere l’arrivo, la meta, come in una esplorazione. Lo stesso è per la lettura.
Non puo’ essere né troppo veloce, perché leverebbe il desiderio e non lascerebbe la corrispondenza tra noi e l’altro, né troppo lento perché ci porterebbe a perdere le speranze.
Il lettore leggendo lascia un po’ di se stesso per far spazio al protagonista.
Solo questa storia basterebbe a capire quando è e deve essere importante per noi staccarci dalle macchine e tenere con loro unicamente un sano rapporto:
“… E Socrate comincia a raccontare la storia di un teknikotate, un esperto di tecniche, inventore del calcolo e della geometria e abile nel costruire strumenti per potenziare l’intelligenza. Il tecnoscienziato antico si chiama Theuth, e spiega al re Thamus di aver inventato un “farmaco” per la conoscenza e la memoria: <<Questa conoscenza renderá gli egiziani piú capaci di conoscere e piú capaci di ricordare, perché è stata inventata come farmaco per la conoscenza e la memoria>> dice Theuth, al che Thamus replica: <<O Theuth, supremo esperto in tecnologie, una cosa è la capacitá di pensare e concretizzare una tecnica, un’altra cosa è giudicare il danno e il vantaggio che quella tecnica potrá portare a chi ne fará uso. Ora tu, che ne sei l’inventore, hai detto, per attaccamento alla tua invenzione, il contrario di ció che quella tecnica del conoscere e del ricordare è in grado di fare. In realtá quella tecnica produrrá dimenticanza nelle menti di quanti la impareranno, perché costoro non eserciteranno piú la memoria …>>.”
Stiamo dando potere alle cose per toglierlo ai nostri cervelli. Leggere il profondo dei libri, delle anime, delle menti, delle persone, dei paesaggi, del cosmo e si anche delle cose, sará la unica salvezza.
Tratto dal libro di Giuseppe Montesano “Come diventare vivi”
D.S.
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