Carl Gustav Jung, psichiatra svizzero vissuto tra il 1875 ed il 1961, fu il primo a parlare di inconscio collettivo e venne a conoscenza di questo concetto, grazie ad un sogno che egli fece:
“Ero in una casa sconosciuta a due piani. Era “la mia casa”. Mi trovavo al piano superiore, dove c’era una specie di salotto ammobiliato con bei mobili antichi di stile rococò. Alle pareti erano appesi antichi quadri di valore. Mi sorprendevo che questa dovesse essere la mia casa, e pensavo: “Non è male!” Ma allora mi veniva in mente di non sapere che aspetto avesse il piano inferiore. Scendevo le scale, e raggiungevo il piano terreno.
Tutto era molto più antico, e capivo che questa parte della casa doveva risalire circa al XV o al XVI secolo. L’arredamento era medioevale, e i pavimenti erano di mattoni rossi. Tutto era piuttosto buio. Andavo da una stanza all’altra, pensando: “Ora veramente devo esplorare tutta la casa!” Giungevo dinanzi ad una pesante porta, e l’aprivo: scoprivo una scala di pietra che conduceva in cantina. Scendevo, e mi trovavo in una stanza con un bel soffitto a volta, eccezionalmente antica.
Esaminando le pareti scoprivo, in mezzo ai comuni blocchi di pietra, strati di mattoni e frammenti di mattoni contenuti nella calcina: da questo mi rendevo conto che i muri risalivano all’epoca romana. Ero più che mai interessato. Esaminavo anche il pavimento, che era di lastre di pietra, e su una notavo un anello: lo tiravo su, e la lastra di pietra si sollevava, rivelando un’altra scala, di stretti gradini di pietra che portava giù in profondità. Scendevo anche questi scalini, e entravo in una bassa caverna scavata nella roccia. Uno spesso strato di polvere ne copriva il pavimento, e nella polvere erano sparpagliati ossa e cocci, come i resti di una civiltà primitiva. Scoprivo due teschi umani, evidentemente di epoca remota e mezzo distrutti. A questo punto il sogno finiva. “
Giunse, dunque alla conclusione per cui l’inconscio individuale fonda la sua esistenza sulle esperienze personali, anche rimosse e sepolte, sui contenuti non accessibili alla coscienza, sulle pulsioni e sugli istinti più primitivi e segreti, mentre
l’inconscio collettivo si basa su di uno spazio che oltrepassa il personale ed costituito dal tutto che circonda TUTTO il genere umano.
Come metafora l’inconscio individuale è una radice che affonda profondamente nella persona e l‘inconscio collettivo è l’insieme di rami e foglie che si intrecciano ad altri rami e foglie a formare una foresta.
L’inconscio collettivo sostiene i comportamenti ed il sentire dell’essere umano “come razza”, dunque appartiene a tutti, si collega a tutti e riunisce ogni livello di esperienza.
Il concetto di inconscio collettivo aiuta a comprendere l’esistenza delle sincronicità, delle intuizioni fulminee ed inspiegabili, delle “premonizioni”, dei “grandi sogni” e dei contenuti numinosi che affiorano alla coscienza. E aiuta a dare un senso alla nostra complessità di esseri umani.
Termini come “estroverso” ed “introverso” da Jung coniati sono entrati a far parte del linguaggio comune e la sua concezione della psiche umana, grazie alla sua ricchezza di riferimenti al pensiero gnostico, medievale e rinascimentale, colpisce moltitudini anche tra chi non s’intende di psicologia ed è oggetto di discussione fin nei circoli religiosi. Proprio questa caratteristica del pensiero junghiano, capace di affascinare grandi numeri di persone, rischia di svuotare questo stesso pensiero del suo senso primo, quello di teoria psicologica.
Per Freud l’inconscio è un contenitore, individuale e vuoto alla nascita, in cui via via si accumulano i contenuti rimossi dalla sfera conscia dell’Io; per Jung tutte le persone attingono a un medesimo inconscio collettivo, e sono dunque interconnesse tra loro e con ogni cosa.
La connessione del tutto :
“L’amore è un concetto estensibile che va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito.” Jung
Ogni parte dell’universo, vivente o inanimata che sia, è interconnessa e l’uomo agisce all’interno di cicli cosmici che non ne negano il libero arbitrio, ma pongono dei semplici limiti, né più ne meno di quelli a cui è sottoposto chi governa una barca: dovrà tenere conto dello stato del vascello, delle provviste a bordo, delle correnti, delle maree, dei venti e delle condizioni atmosferiche in generale, poi compatibilmente con tutto ciò potrà andare dove vuole. L’astrologia si basa sul principio di sincronicità tra realtà psichica e realtà fisica, tra archetipi (segni e divinità) e corpi celesti (stelle fisse e pianeti). Oltre l’apparenza della materia, le leggi che governano i corpi celesti e quelle che governano i moti delle nostre vite sono analoghe. La realtà che sperimentiamo è costruita dal nostro pensiero quanto il nostro pensiero è costruito dalla realtà sperimentata: si tratta di due facce della medesima medaglia.
“La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima.” “Nel tuo petto sono le stelle del tuo destino.”
«Sia nella mia esperienza di medico che nella mia vita, mi sono trovato difronte al mistero dell’amore. E non sono mai stato capace di spiegare cosa esso sia. Qui si trovano il massimo e il minimo. Il più remoto e il più vicino. Il più alto e il più basso. E non si può mai parlare di uno senza mai considerare anche l’altro. L’amore soffre ogni cosa e sopporta ogni cosa, queste parole dicono tutto ciò che c’è da dire. Non c’è nulla da aggiungere. Perché noi siamo nel senso più profondo le vittime o i mezzi e gli strumenti dell’amore cosmico.
Essendo una parte l’uomo non può intendere il tutto, è alla sua merce. L’amore non viene mai meno, sia che parli con la lingua degli angeli sia che tracci la vita della cellula con esattezza scientifica risalendo fino al suo ultimo fondamento.
Se possiede un granello di saggezza l’uomo deporrà le armi e chiamerà l’ignoto con il più ignoto, cioè con il nome di Dio. Sarà una confessione di imperfezione, di dipendenza, di sottomissione ma al tempo stesso una sua testimonianza della sua libertà di scelta tra la Verità e l’errore.»
(C.G.Jung – Ricordi Sogni Riflessioni)
«San Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi ci dice che…
“…Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi l’amore, non sarei nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi l’amore, niente mi gioverebbe.
L’amore è paziente, è benigno l’amore; non è invidioso l’amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia,ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta..”
Queste parole dicono tutto ciò che c’è da dire; non c’è nulla da aggiungere.
Perché noi siamo, nel senso più profondo, le vittime o i mezzi e gli strumenti dell’”amore” cosmogonico. Pongo la parola tra virgolette per indicare che non la uso nei suoi significati di brama, preferenza, favore, desiderio, e simili, ma come un tutto superiore a una singola cosa, unico e indivisibile.
Essendo una parte, l’uomo non può intendere il tutto. È alla sua mercé. Può consentire con esso, o ribellarsi; ma sempre ne è preda e prigioniero. Ne dipende e ne è sostenuto. L’amore è la sua luce e le sue tenebre, la cui fine non può riuscire a vedere.
“L’amore non vien mai meno”, sia che parli con la “lingua degli angeli”, o che, con esattezza scientifica, tracci la vita della cellula risalendo fino al suo ultimo fondamento. L’uomo può cercare di dare un nome all’amore, attribuendogli tutti quelli che ha a disposizione, ma sarà sempre vittima di infinite illusioni.
Se possiede un granello di saggezza, deporrà le armi e chiamerà l’ignoto con il più ignoto, ignotum per ignotius, cioè con il nome di Dio. Sarà una confessione di imperfezione, di dipendenza, di sottomissione, ma al tempo stesso una testimonianza della sua libertà di scelta tra la verità e l’errore.»
(C.G.Jung – Ricordi, Sogni, Riflessioni)
«Dell’amore si può parlare con belle parole; ma della vita? La vita sta al di sopra dell’amore. Ma l’amore è la madre insostituibile della vita. La vita non dovrà mai essere costretta nell’amore; invece l’amore dovrà essere costretto a entrare nella vita.
L’amore potrà anche essere soggetto a sofferenza, non così la vita. Finchè l’amore è pregno di vita, dev’essere tenuto in gran conto; ma una volta che abbia dato origine alla vita, diventa un guscio vuoto e preda della caducità. […] Non parlo più in nome dell’amore, ma della vita. […]
Un essere umano ha bisogno della madre finchè la sua vita non si sia sviluppata. Poi si separerà da lei. E la vita ha bisogno dell’amore finchè non si sia sivluppata, poi se ne separerà. Dura è la separazione del bambino dalla madre, ma ancora più duro è separare la vita dall’amore. […]
Il principio di tutte le cose è l’amore, ma l’essenza delle cose è la vita. Questa distinzione è crudele. Perché, o spirito del profondo più tenebroso, mi costringi a dire: chi ama non vive, e chi vive non ama? Ho sempre sostenuto il contrario!»
(C.G.Jung – Libro Rosso, p.327)
«Dell’amore sono proprie la profondità e la fedeltà del sentimento, senza le quali non di amore si tratta, ma di puro capriccio. Il vero amore stringerà sempre legami duraturi e responsabili. Gli è necessaria la libertà solo per la scelta, ma non per la realizzazione.
Ogni amore vero e profondo è un sacrificio. Si sacrificano le proprie possibilità, o meglio, l’illusione di avere delle possibilità.
Se esso non pretendesse questo sacrificio, le nostre illusioni impedirebbero l’espressione del sentimento profondo e responsabile, ma in tal modo però ci verrebbe anche sottratta la possibilità di fare esperienza del vero amore.
L’amore ha più di un aspetto in comune con le convinzioni religiose: esige un atteggiamento incondizionato, si aspetta completa dedizione. E allo stesso modo in cui soltanto il credente che si consacra completamente al suo dio diviene partecipe della grazia divina, così anche l’amore svela i suoi segreti e prodigi più sublimi soltanto a chi è capace della dedizione e della fedeltà incondizionate del sentimento.
Poiché questo atteggiamento è estremamente difficile, sono molto pochi i mortali che possono vantarsi di averlo attuato. Ma proprio perché l’amore più oblativo e più fedele è anche il più bello, non si dovrebbe mai andare in cerca di espedienti che potrebbero rendere l’amore troppo facile. È un cattivo cavaliere della sua dama del cuore colui che arretra intimorito dinanzi alle difficoltà dell’amore.
L’amore si comporta un po’ come Dio: entrambi si concedono solo al loro servo più devoto. […] L’amore invece ci premia realmente solo quando lo prendiamo sul serio.
Considero piuttosto infelice il fatto che oggi si parli di un problema sessuale distinto dall’amore. Le due questioni non dovrebbero venir separate, perché se esiste qualcosa di simile a un problema sessuale, esso può venir risolto solo mediante l’amore, poiché ogni altra soluzione sarebbe un surrogato nocivo.
La sessualità, praticata semplicemente in quanto tale, è animalesca, in quanto espressione d’amore invece è cosa sacra. Non domandate mai che cosa uno faccia, bensì come lo fa. Se lo fa per amore e nello spirito dell’amore, si pone al servizio di un dio e, qualunque atto possa compiere, non è affar nostro giudicarlo, perché è già nobilitato.» (C.G.Jung)
Fonti:
http://guide.supereva.it/sogni/interventi/2008/11/jung-e-linconscio-collettivo
https://22passi.blogspot.it/2008/01/carl-gustav-jung.html
L’Amore secondo il grande psicologo C.G. Jung: si vive di ciò che si dona